NatureWreck (2018)
R. Di Paola | A. Viola
Un enorme pesce abbandonato, spiaggiato sulla terraferma. Lontano dal Mare, la sua carcassa priva della vita, è adesso materia pura e, la sua presenza nello spazio, è un confine attraversabile nel visionario. Squarci quadrangolari, sparsi come macchie di una mappatura dermica, permettono di osservare e contemplare la sua duplice natura: contenuta e contenitrice. All´esterno, la livrea di un essere vivente, spoglia esanime della dissolutezza umana, materica e rarefatta, sottile e quasi opaca, al giorno; e completamente trasparente - al nudo delle sue profondità interne - la sera. Il suo interno, la forma esterna quasi scompare per farne emergere una natura inattesa, un´anima fatta dalla materia memore di relitti navali d´abisso o, ancora, di un condotto di miniera abbandonata e resa accessibile allo sguardo dell´osservatore attraverso la digrignata bocca ed i profondi squarci.
Un pesce, si direbbe senza dubbio il suo aspetto, che nella sua forma ricorda una carpa koi, creatura acquatica simbolica e saggia, simbolo del sacrificio per eccellenza. Ma in realtà la scelta di raccontare un pesce svela presto un pretesto "metaveristico": la creatura ormai privata del suo slancio vitale e del suo habitat, si dona al paesaggio attorno come un altare vivente sul quale si testimonia il morire ed il privare, del proprio habitat, di tanti e tanti altri esseri viventi, dal quale l'uomo-migrante da millenni non differisce.
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Il suo sacrifico è compiuto nel momento in cui la sua materia cessa si essere semplice involucro.
La vita esiste e continua pure nel continuo trasformarsi, non solo chimicamente, ma soprattutto esteticamente e poeticamente. La natura naufragata, che narra la scultura nel suo possedere lo spazio interno ed esterno, non si ferma alla sola occupazione di parte del territorio.
Non ne possiede la nazionalità anzi, non ne ha mai circoscritto confini, delineato limiti e innalzato barriere: L'uomo come i pesci delle acque è nato libero da qualsiasi costrizione fisica, soprattutto se immaginarie quali linee tracciate su di un planisfero o sul tavolo politico della storia.
Proprio come i pesci e tanti altri esseri del mondo animale, l'uomo è libero di passare dallo stagno al fiume, dal fiume al lago, dal lago al mare e dal mare all'oceano senza sosta per conoscenza, desiderio, bisogno.
Alla liquidità attraverso la quale l'uomo contemporaneo si riconosce e caratterizza, si contrappone il desiderio sempre più prorompente di una vittoria sul tempo e sullo spazio.
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Viene imposto all'uomo di vincere la fisicità del suo essere, di trascendere i sessi e gli umani limiti, dimenticando di porre attenzione alle evidenti e forti richieste che ancora il mondo non dimentica dopo secoli e millenni e che pongono sempre le stesse esigenze: Fame, sete, lavoro, riparo dalle guerre, pace, ristoro dalle malattie, dalla carestia, perdono, giustizia, fratellanza, uguaglianza e libertà.
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Per questo la natura naufraga sul suo stesso suolo, implodendo quasi, per via delle violente maree di tutte queste forze contrastanti. L'embolia della cultura multimediale provoca un collasso alla fragile struttura delle tradizioni e della forma, preferendone un contatto sempre più avverso alla versatilità dell'essere vivente e sempre più diretto alla creazione di stereotipi robotici, consumatori e facilmente influenzabili e controllabili.
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A sua volta, la natura collassando, comprime dentro di sé un ulteriore universo dimenticato:
Il silenzio che corre lungo un condotto alto quanto appena il passaggio di un uomo; un rumore sordo che sa del vuoto incolmabile che scaturisce nel momento in cui la natura volta le spalle:
Le profondità interne dell'uomo, dell'essere vivente, smembrate e abitate da una sovrapposizione tra animale e spazio, legate in una sedimentazione quasi archeologica - intatta e inaccessibile - se non all'occhio di chi sa intervenire prima ancora di giudicare, che sa ascoltare prima ancora di prevedere e sa trovare una soluzione prima ancora che la sciagura, il naufragio della natura, si manifesti.